Personale 2010 – Associazione Sassetti Cultura – Milano

CARTE DUEMILANOVE
Il peso del segno

Leggere, interpretare, ‘criticare’, compito arduo per chi non pratichi l’onorata professione (almeno in questo campo) ma si configuri piuttosto come un semplice visitatore di uno mostra d’arte. Eccomi di fronte a questi fogli non più bianchi a interrogarmi, a incantarmi, a riflettere.

L’impatto è forte, anche se non immediato richiede: slittamenti progressivi, come ogni piacere che si rispetti. Sento lo sapienza del tratto, dello (s)composizione, dei colori (anzitutto primari).

Mi interrogo fin dove Io ragione generi bellezza, e quanto il sonno ne minacci l’essenza.

Loro, mi dico, sono fatti dello stesso sostanza di cui sono fatti i sogni, mo anche di incubi.

Nel dormiveglia percepisco il caldo e il freddo, lo gioia e il dolore, la luce pulsante e la muta oscurità. Il reticolo del trotto nero li ancora e li eleva, si torce e si aggroviglia, li scandisce e li sedimenta come ammassi di rocce.

Percepisco il ricordo di un percorso, tanto più sensibile perché dentro ciascuno di noi (a caso do lascaux e altamira a chagall e schiele e bacon), patrimonio comune. O forse bisognerebbe dire matrimonio, in nome di una qui reiterata deamadre il cui grembo ci genera e ci accoglie anche nello pittura.

Altrettante tracce di un discorso amoroso che si fa materia e vita, animale, vegetale, minerale, un tutt’uno. Come un tutt’uno è lo conoscenza di oltre cinquant’anni che mi lego all’amico e al pittore e che queste visioni riassumono, perpetuano ed esaltano.
Lorenzo Pellizzari


IL PESO DEL SEGNO
La pittura come modo di stare al mondo. La pittura come modo di pensare. Talvolta parallelo al piano del reale e della vita reale, come per molti artisti “della domenica”. Così si definiva con sorridente ironia Giorgio Occoffer anni fa, dopo una vita di pensiero nella pittura, svolto a fianco della vita reale. Occupazione del tempo libero. Quello spazio libero che è poi il luogo autentico dell’esistenza di ognuno di noi. Così Occoffer ad un certo punto della vita, occupa di quello spazio libero anche lo spazio della vita reale. Torna in accademia e si mette a studiare con il linguaggio del disegno e della pittura.E’ un artista tenace e prolifico. Il suo lavoro va apprezzato in sequenza. Come se la materia liquida che diluisce e dilata il segno di ogni immagine “sbavasse” fuori dai confini delle carte, sino ad avvolgerci nel lavorio mentale dell’artista, nello sguardo sul mondo del pittore.

Occoffer comincia a pensare con la pittura nelle immagini della città: periferie, treni, case, luoghi e non luoghi della scena urbana, paesaggi che un po’ alla volta si fanno scena delle avventure del segno. Nel tempo le figure si sciolgono dal legame con la rappresentazione del reale, si rarefanno o si condensano, quasi inevitabilmente, nel percorso che porta il segno a prendere il sopravvento sulla realtà, nel territorio infinito dell’astrazione. Mi sembra quella la fase di studio, il momento nella formazione dell’artista in cui egli approfondendo di prova in prova le potenzialità del segno, ne viene posseduto e dominato, fa fatica a controllarlo, viene trascinato nelle direzioni che conducono verso visioni sconosciute. Nuove come rivelazioni. Nella storia della pittura moderna ò il momento dell’automatismo e della scrittura automatica, codificata dai surrealisti e da una parte degli astrattisti. Oggi, l’esperienza dell’automatismo è la nuova accademia, percorso obbligato, quasi canone per il pittore che voglia appropriarsi del potere del segno, senza cadere vittima della fascinazione espressionista e narcisista del proprio sé. Il segno si “introverte”, va naturalmente “all’interno”, trascina l’artista nel gorgo dell’anima, inganna con la seduzione dell’autobiografia…pochi ne emergono salvi! Pochi riescono ad “estrovertere” il segno e trasformarlo nuovamente in sguardo comunicante con il mondo, con l’altro.

E’ questo il discrimine tra l’ “artista”e l’ “artista della domenica”. Il primo parla per l’altro, con l’altro. II secondo parla di sé e per sé. Attraverso ripetute prove, l’artista prende possesso del segno o , meglio, “sta alla pari” con il segno nel suo farsi. Occoffer ci parla da artista. Ora il reale riemerge in una forma nuova e inedita. Nelle carte del 2009, il nucleo immaginifico che emerge è quello del corpo e della figura anatomica. Il tema per eccellenza degli studi accademici! La tecnica di questi disegni è l’acquerello, con rari interventi di tempera e matita acquerellata o più raramente, acrilico su carta. E’ una tecnica rapida e difficile, perché si misura con l’imprendibilità dell’acqua. Occoffer lascia andare il segno sulla superficie e poi stende l’acqua con il pennello piatto, controllando il farsi delle macchie , la dilatazione del colore liquido, le isole d’acqua, le trasparenze e gli addensamenti che formano i volumi, le ombre, gli sbafi, i rivoli. Il peso del segno trattiene o si sgretola lasciando tracimare la materia liquida, prima che la carta la trattenga e l’assorba, la solidifichi nella figura. La figura umana è inconscia ed emerge con la forza del modello. A volte in dettagli anatomici che si dilatano sino ad apparire paesaggi, echi dei paesaggi dai quali i primi lavori di Occoffer nascevano. In alti casi , a mio parere i più suggestivi ed inquietanti , emerge la figura accademica, la postura di un braccio sollevato sopra la testa e ripiegato dietro la nuca, che offre la figura allo sguardo che sa rintracciare l’esibizione della posa, nel groviglio del segno. Ma ancora colpisce come dal disegno automatico le suggestioni culturali dello sguardo si impongano a comporre scenari che affondano le loro radici in codici visivi acquisiti. In una serie di carte, in cui la composizione è più fitta e satura di colore, il segno compone campiture che trattengono aree di colore, richiamando le vetrate gotiche: dall’idea del corpo germoglia il canone dell’architettura e dall’architettura nuovamente, il paesaggio. Il segno nei lavori che Giorgio Occoffer ci presenta si è trasformato in sguardo.

Raffaella Pulejo

 

 

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